Accademia University Press

  • 1 Ferraris M., Il mondo esterno, Milano: Bompiani, 2001.
  • 2 Vedi Eco U., Di un realismo negativo, in De Caro M., Ferraris M. (eds.), Bentornata Realtà, Torino: (…)

11. Realismo significa forse affermare che il mondo dice semplicemente “no”? Non ne sono più così sicuro. Contrariamente a quanto ho scritto in Il mondo esterno,1 e contrariamente a quanto Eco postula in un suo recente saggio,2 il realismo non è solo negatività, ma, invece, può presentarsi come una positività totale. Non solo ogni determinazione è una negazione, ma vale anche l’inverso: ogni negazione si orienta verso una o più determinazioni.

2prendi il dibattito con Rorty a cui Eco fa riferimento. Rorty afferma che “Posso pulirmi l’orecchio con un cacciavite” (che, a proposito, dimostra che almeno una volta nella sua vita ha pulito le orecchie con un cacciavite). Eco risponde che (1) non si può pulire le orecchie con un cacciavite perché è troppo lungo e duro (ci ha provato, almeno una volta, e si è fatto male) e che (2) un cacciavite può essere usato per un omicidio (Eco ricorda la prassi dell ‘”omicidio del cacciavite” sulle strade italiane negli anni Sessanta).

3Eco afferma che non si possono derivare sensi obbligati dall’essere, ma (2) è una possibilità molto spregevole, non un divieto. Premetto, quindi, che in ogni senso proibito (che non può essere modificato) c’è un senso obbligato (che può essere trasgredito o ignorato, ma che è ancora lì). Che è, infatti, confermato dal cacciavite, perché: 1. Con un cacciavite puoi pulire molto bene le orecchie, purché tu sia attento e abbastanza esperto-un chirurgo sicuramente gestirebbe. Pertanto, Eco non è un criterio meramente negativo. 2. Dicendo “Non posso usare un cacciavite per pulirmi le orecchie” sto insinuando una serie di “must” nascosti: devi pulirti le orecchie con qualcosa di morbido; puoi usare le ferite per ferire qualcuno (omicidio con un cacciavite); se non vuoi essere violento, puoi usare un cacciavite per aprire una scatola di cartone, o per avvitare o svitare effettivamente una vite. 3. A un esame più attento, la risposta giusta che Eco avrebbe dovuto dare a Rorty è: puoi usare un cacciavite per pulire le orecchie (basta stare attenti), ma semplicemente non puoi cucire un bottone con esso, non importa quanto ci provi.

4la contrapposizione tra la massima di Rorty “puoi usare un cacciavite per pulire le orecchie” e quella di Eco “non puoi usare un cacciavite per pulire le orecchie”, che si presenta come un’alternativa tra costruttivismo senza limiti e “realismo negativo”, dovrebbe essere corretta. Il realismo non può mai essere radicalmente negativo. Lo spirito nega, la realtà afferma. Per almeno tre ragioni.

5IL primo è che, in ogni negazione, si aprono una serie di possibilità. Se non si può usare un cacciavite per cucire i bottoni è perché ha delle comodità che lo rendono adatto per pulirsi le orecchie (pace Eco), per aprire una scatola di cartone, pugnalare un nemico durante un combattimento e, ovviamente, se proprio si vuole essere perversi, per avvitare una vite. Tutte queste possibilità sono implicite nel ” no ” che la realtà contrappone alla richiesta di usare un cacciavite come ago per cucire un bottone.

6la seconda ragione riguarda la percezione in generale. La percezione, come ho ampiamente sostenuto fin da Il mondo esterno, ha un valore cognitivo non tanto per la conoscenza che può offrire in positivo (che tende sempre ad essere esposta all’inganno dei sensi), quanto piuttosto per la resistenza che abbiamo menzionato sopra. Tuttavia, in ogni resistenza c’è anche una risorsa positiva: l’opposizione è anche una sorpresa, cioè qualcosa di inaspettato e nuovo che viene alla ribalta. Omnis negatio est determinatio, e ogni negazione è una rivelazione.

7c’è un altro elemento che indica il carattere ontologicamente costitutivo della percezione. Senza la percezione, che è propriamente l’organo del mondo esterno, molte delle abilità logiche e delle distinzioni che usiamo ogni giorno, e che sono essenziali per il pensiero, sarebbero inapplicabili. Per esempio, in assenza di un mondo percettivo, saremmo in grado di distinguere la conclusività logica dalla causalità fisica, o la necessità formale dalla necessità materiale? Ci sono ottime ragioni per dubitare di questo.

82. Passiamo ora dai cacciaviti ai sistemi metafisici. La negatività che l’Eco appelli, in modo da limitare le pretese egemoniche degli schemi concettuali, nonché la unamendability di cui ho parlato in molte occasioni – è, per così dire, la reazione ancor di più la negatività, che non riguarda né semplicemente gli ultimi trent’anni del postmoderno, né il passato secolo di filosofia, ma che è piuttosto legato all’essenza del pensiero moderno che, con Cartesio, è nato come la negazione e la neutralizzazione del mondo in nome del pensiero. Quindi, come ho insistito in gran parte del mio lavoro’ post-postmoderno’, il costruttivismo senza limiti che ha caratterizzato la filosofia moderna.

9la reazione al costruttivismo non dovrebbe comportare il ripristino di un ipotetico “realismo metafisico”, un uomo di paglia consistente nella tesi (davvero troppo ingenua) che la mente è lo specchio veritiero del mondo. Dovrebbe piuttosto consistere in un superamento del realismo negativo che porterebbe, anzi, a un realismo positivo capace di localizzare l’origine del pensiero e della possibilità nel reale. In breve, dopo la stagione del costruttivismo, non si tratta di “pensare in piccolo”, ma piuttosto di pensare più in grande di quanto la filosofia abbia mai fatto negli ultimi quattro secoli.

10SONO consapevole di dire qualcosa che potrebbe sembrare iperbolico, quindi cercherò di giustificare la mia affermazione. Pochi filosofi-a parte, per esempio, Schelling (e torneremo su questo) – sono riusciti a individuare il grado di negatività depositato nella strategia usata da Cartesio nelle Meditazioni metafisiche, il cui atteggiamento fondamentale sta nel dubitare dell’essere in nome della conoscenza. Il mondo intero è negato e ridotto al pensiero. Dopo una serie di sospensioni che annullano le certezze dei sensi e poi del pensiero stesso, l’essere viene identificato con il pensiero e dopo di che – con un ribaltamento che anticipa la rivoluzione copernicana di Kant – l’essere viene fatto dipendere dal pensiero: l’ontologia dipende dall’epistemologia. Cerchiamo di delineare come questo passaggio ha avuto luogo.

11Descartes ci invita a dubitare della certezza di ciò che vediamo, perché i sensi possono ingannare, perché potrebbe essere un sogno e così via. Poi ci invita a pensare che il nostro pensiero potrebbe anche essere radicalmente deformato da un demone onnipotente. A questo punto, l’unica cosa di cui siamo certi è che stiamo pensando, indipendentemente dal contenuto del nostro pensiero (che potrebbe essere tutto ingannevole). L’aspetto singolare di questa strategia è che trasforma una funzione epistemologica (cioè il pensiero) in una ontologica, cioè nella prova che qualcosa esiste. Poi c’è un passaggio ancora più ingegnoso. Il pensiero ha una sola certezza, al di là di quella di esistere: cioè, il fatto di sentirsi limitato e insufficiente. Ma se può sentirsi limitata e insufficiente è perché ha l’idea di un essere illimitato e perfetto, un’idea che non può essere ‘fittizia’ – cioè prodotta dall’Io – ma deve essere innata, perché non è chiaro da dove verrebbe altrimenti. L’idea è quindi che esiste un essere supremamente perfetto, e poiché la perfezione implica necessariamente l’esistenza – dato che immaginare un essere supremamente perfetto senza esistenza è come pensare a un monte senza valle – allora quell’essere esiste necessariamente. E se necessariamente esiste, poiché è dotato di tutte le perfezioni, non può ingannarmi: quindi, tutto ciò che mi mostra – il mondo esterno – è vero, non ho motivo di dubitarne, devo solo (occasionalmente) stare attento in caso di possibili inganni da parte dei sensi.

12questa storia è affascinante e in qualche modo favolosa, quasi ariostesca – dopo tutto il tempo era più o meno lo stesso. Tuttavia, se sostituissimo Dio con la scienza, questa storia riguarderebbe la storia degli ultimi quattro secoli. Questo può essere visto molto chiaramente nella Critica della Ragione Pura, che in realtà sostituisce Dio per la fisica. La nostra conoscenza è garantita dall’equivalenza tra scienza ed esperienza, e il nostro modo di relazionarci con il mondo è esattamente lo stesso della fisica. Il mondo, sottratto a noi come esperienza immediata, ci viene restituito attraverso la conoscenza. E la conoscenza è il prodotto del pensiero, cioè una cosa molto strana che, proprio come in Cartesio, sembra apparire di punto in bianco, essendo una res cogitans che non ha nulla a che fare con la res extensa. È proprio contro questa struttura mentale che si pone il realismo (quello che io chiamo “realismo positivo”), che si manifesta prima di tutto nella resistenza del mondo, nel fatto che il mondo dice “no”. Questo è il punto su cui ho insistito molto facendo riferimento alla nozione di “non modificabilità” in contrapposizione all’iperbole costruttivista proveniente da Cartesio. Ora, però, vorrei fare qualche passo in avanti.

133. Un aiuto significativo in questo viene da “the later Schelling”, per il quale “cogito ergo sum” – vale a dire il punto di partenza di Cartesio – era un falso passaggio dal pensiero all’essere. Tutta la filosofia moderna, da Kant a Fichte allo stesso Schel-ling (nella prima fase del suo pensiero) a Hegel (che sostituì Schelling nelle preferenze filosofiche dei tedeschi), è quindi filosofia negativa. “Penso quindi di essere”, “le intuizioni senza concetti sono cieche”, “il razionale è reale”: queste espressioni significano che la certezza si trova nell’epistemologia, in ciò che sappiamo e pensiamo, e non nell’ontologia (cioè ciò che esiste). Si apre così un abisso tra pensiero ed essere: una pausa destinata a non essere mai recuperata, come testimonia la storia della filosofia dei secoli passati.

14Per il successivo Schelling, però, dobbiamo procedere inversamente. L’essere non è qualcosa di costruito dal pensiero, ma qualcosa di dato, che è lì prima che il pensiero esista. Non solo perché abbiamo la prova di epoche molto lunghe in cui il mondo esisteva senza l’umanità, ma anche perché ciò che inizialmente si manifesta come pensiero viene da fuori di noi: le parole di nostra madre, il residuo di senso che ci capita di trovare proprio come, alla Mecca, capita di trovare un meteorite.

  • 3 Come è stato definito in Meillassoux Q., Dopo finitude, London: Continuum, 2008 e in Gabriel M., Il (…)

15qui assistiamo a una possibile estensione dell’argomento dalla fatticità.3 Costruiamo automobili, le usiamo, le vendiamo, e questo dipende indubbiamente da noi, dai nostri schemi concettuali e apparati percettivi, come direbbe Kant. Eppure il fatto che costruiamo automobili, che c’erano cose prima di noi e che ci saranno cose dopo di noi non dipende da noi. Non ci può essere un costruttivismo generalizzato nei confronti dei fatti, e questo perché, banalmente, ci sono fatti che ci precedono: potremmo tutti dire, come Erik Satie, “Sono venuto al mondo molto giovane in un’epoca molto vecchia”.

16In particolare, nella filosofia della mitologia di Schelling ci rendiamo conto che, con il ritorno al mito, non assistiamo ad una regressione, ma piuttosto ad una valorizzazione di quella che potremmo definire la positività di qualcosa che viene dato e trasmesso (come il mito, di cui non conosciamo l’inventore) e non creato (come, ad esempio, un romanzo). Qui abbiamo la possibilità di capire con particolare chiarezza cosa intendeva Schelling quando parlava di una filosofia positiva in contrapposizione alla filosofia post-cartesiana, che è ‘negativa’. “Negativo” significa essenzialmente costruttivista. Mentre – come abbiamo visto – sempre da Descartes filosofico certezza è stata ottenuta attraverso una costruzione del pensiero (i cui modelli sono la matematica e la geometria, cioè le cose che sono fatte da mente umana e quindi sono certo), per il seguito di Schelling (che in gioventù era stato uno dei più grandi sostenitori del filosofica costruttivismo) verità e oggetti della filosofia sono più certo, più sono dato, vale a dire la più si impongono sulla coscienza umana, invece di essere da essa prodotte.

17lo stesso si può dire della mitologia e della rivelazione. Nel mito troviamo una fatticità molto potente: come dicevamo, nessuno può pretendere di essere l’inventore di un mito, in quanto è qualcosa che ci precede, proprio come ci precedono i dinosauri, e che è tale proprio perché ci è stato detto. Una situazione analoga può essere trovata nelle battute: nessuno dice ‘Ho inventato questo scherzo’, non sarebbe divertente. Fiabe, miti e barzellette hanno quindi qualcosa in comune: non sono il prodotto di una sola persona, né sono la costruzione di uno sceneggiatore, ma sono dati. Quando Wittgenstein parla di giochi linguistici come cose che possono essere trovate e non come cose che possiamo inventare a nostro piacimento, sta suggerendo qualcosa di questo tipo. Seguiamo ciecamente la regola. E lo seguiamo prima di capirlo.

184. Il pensiero è, prima di tutto, natura: cioè non è un cogito trasparente ma un subconscio che si rivela progressivamente. Incontriamo oggetti che hanno una consistenza ontologica indipendente dalla nostra conoscenza e che, improvvisamente o attraverso un processo lento, sono poi conosciuti da noi. Scopriamo parti di noi stessi (ad esempio, che siamo invidiosi o che abbiamo paura dei topi) proprio come scopriamo pezzi di natura. Notiamo elementi della società (ad esempio, schiavitù, sfruttamento, subordinazione delle donne e poi, con maggiore sensibilità, anche mobbing o scorrettezze politiche) che risultano insopportabili e che prima erano nascosti, cioè assunti come ovvi da un inconscio politico o sociologico. Il momento della coscienza verrà indubbiamente e si spera, ma sarà una questione di distacco rispetto ad una precedente adesione, non un atto di costruzione assoluta del mondo per mezzo del pensiero. Nel mondo psicologico e sociale, il motto di Schelling potrebbe essere “Io sono quindi (a volte) penso”.

19lo stesso vale per il mondo naturale. La tesi di Schelling è che la natura è spirito inconscio, che potrebbe sembrare un sentimentalismo romantico, aggravato dal fatto che nei suoi ultimi anni il filosofo impegnato in séances con la regina di Baviera. Eppure, porta a una visione del mondo completamente diversa. Prima di tutto, spiega perché il pensiero aderisce al reale con una forza pre-teorica che nessun scetticismo può superare: molto semplicemente, il pensiero è una parte del reale. Come direbbe Freud – dopo tutto, è nato due anni dopo la morte di Schelling e ha condiviso con lui il clima dell’epoca – l’Es (che, per Schelling, è anche natura e storia) deve diventare l’Io, che non è il creatore dell’Es, ma piuttosto un risultato di esso.

205. Da qui il fatto che il mondo non è fatto di fenomeni, ma di cose in sé. In effetti, almeno negli ultimi due secoli, abbiamo sofferto di uno strabismo esotropico per quanto riguarda le cose. Con un occhio, quello del buon senso, siamo convinti di essere circondati da cose che sono esattamente quello che sono: tavoli, sedie, computer. Queste cose raramente risultano essere diverse da come appaiono, o essere illusioni o miraggi. Questi sono solo momenti fugaci: le cose di solito non ingannano e, di certo, ingannano meno delle persone.

21ma c’è un secondo occhio con cui guardiamo il mondo, che è più esigente e filosofico e vede le cose in un modo completamente diverso. Per questo non ci occupiamo di cose, ma di fenomeni che sono il risultato dell’incontro tra una cosa inaccessibile in sé – l’oggetto a cui ci riferiamo – e la mediazione offerta dai nostri apparati percettivi e schemi concettuali. Il pensatore che più di tutti ha legato il suo nome a questa trasformazione è Kant, per mezzo della sua rivoluzione copernicana (che in realtà è una rivoluzione tolemaica, in quanto pone l’uomo al centro dell’universo): invece di chiedere come stanno le cose in se stesse, dice Kant, dovremmo chiederci come devono essere per essere conosciuti da noi.

22e qui è dove si manifesta lo strabismo. Da un lato, nella vita di tutti i giorni, siamo realisti ingenui; dall’altro, quando, diciamo, dobbiamo spiegare la nostra esperienza a un medico o, se siamo professori, in classe, siamo idealisti o almeno costruttivisti, perché siamo convinti che la realtà sia il prodotto di processi che si svolgono in noi non meno che al di fuori di noi. È una situazione che Kant ha previsto quando ha definito la sua dottrina come un ‘realismo empirico’ (siamo certi della realtà dell’esperienza) così come un ‘idealismo trascendentale’ (ad un altro livello, riflessivo e filosofico, sappiamo che le cose dipendono da schemi concettuali e apparati percettivi che si trovano in noi). Ora quei termini potrebbero sembrare antiquati, ma quando qualcuno ci dice che un tavolo è fatto di atomi e che la sua densità è solo leggermente superiore a quella dell’aria circostante, o che ciò che chiamiamo “dolore” è in realtà la stimolazione di certe fibre neurali, sta giocando l’idealista trascendentale: il mondo non è quello che sembra, e nasconde qualcosa di sfuggente e spesso misterioso.

23questo è del tutto legittimo a livello scientifico, ma non tanto se, anzi, ci riferiamo all’esperienza quotidiana. Di solito non diciamo “per favore passami quello che a me, e speriamo che a te, sembra sale”, ma piuttosto “passami il sale”. Nonostante tutto ciò, affermare che le cose di tutti i giorni sono veramente ciò che sembrano, cioè che sono cose in se stesse e non semplicemente apparenze per noi, è considerato come un atto imperdonabile di ingenuità. Sperare di accedervi significa nutrire il sogno (irrimediabilmente primitivo) di entrare in contatto con un mondo “là fuori” – un contatto che sembra più mitologico di Giove e Giunone, e persino vagamente comico.

  • 4 Ho articolato questo punto in ‘Ding an Sich’, imminente nei documenti della conferenza del Zweite (…)

24MA è davvero così? Prendiamo oggetti naturali. Per Kant, sono i fenomeni per eccellenza: sono situati nello spazio e nel tempo, che non sono cose che sono date in natura perché si trovano nella nostra mente, insieme alle categorie attraverso le quali ordiniamo il mondo. Il che significa che, senza gli uomini, non ci sarebbe né spazio né tempo. Dovremmo concludere che, prima dell’umanità, non c’erano oggetti, o almeno non come li conosciamo. Eppure chiaramente non è così: i fossili dimostrano che c’erano esseri che esistevano prima di qualsiasi essere umano. Quindi, come affrontiamo questo? Se esistevano prima di noi, erano cose in se stesse e non fenomeni (cioè cose che ci appaiono). Ovviamente, si potrebbe obiettare che nel momento in cui li guardiamo, ora, sono fenomeni. Ma ipotizziamo che il fossile sia stato trovato accidentalmente da un cane. Il cane ha schemi concettuali e apparati percettivi radicalmente diversi dai nostri, eppure riesce a interagire con i fossili (e con una serie di oggetti più recenti, come le ossa non preistoriche) proprio come facciamo noi. Quindi, c’è qualche buona ragione per credere che ci siano due oggetti, il fossile visto dal cane e il fossile visto da me? E se c’è un solo oggetto, perché non dovrebbe essere una cosa in sé?4

256. Quindi, c’è un senso in cui, quando lo spirito indaga la natura, scopre anche se stesso. Non perché la natura sia il prodotto dello spirito, come vogliono i pensatori negativi, ma piuttosto perché lo spirito è un risultato della natura, proprio come la gravità, la fotosintesi e la digestione.

26così, il realismo metafisico, cioè (come dicevo) l’uomo di paglia del costruttivismo e dell’antirealismo, suppone un pieno rispecchiamento del pensiero e della realtà:

(1) Thought ↔ Reality

27il costruttivismo, trovando inspiegabile questa relazione tra due realtà distinte, suggerisce piuttosto un ruolo costitutivo del pensiero rispetto alla realtà:

(2) Pensiero → Realtà

28il realismo positivo, invece, vede il pensiero come un dato emergente della realtà, proprio come la gravità, la fotosintesi e la digestione.

(3) Pensiero ← Realtà

29l’essere precede il pensiero e il pensiero emerge dalla natura. Questo, ovviamente, non significa che, una volta emerso, il pensiero debba seguire ciecamente la natura. Può dare vita al mondo sociale, per esempio. Tuttavia, a sua volta, il mondo sociale determinerà anche (in modo solitamente non trasparente) il pensiero dei singoli individui. Se è così che stanno le cose, pensare che siamo circondati da fenomeni e non da cose in sé è una delle illusioni più curiose della filosofia negativa. Il mondo è fatto di cose in sé, e il pensiero è generato dal mondo.

30tutte le differenze essenziali alla base del nostro pensiero, che tendiamo a dimenticare anche se guidano le nostre pratiche, derivano dal reale e non dal pensiero: la differenza tra ontologia (non modificabile) ed epistemologia (modificabile), tra esperienza e scienza, o tra mondo esterno e mondo interno. E ancora, la differenza tra oggetti ed eventi, o la differenza essenziale tra realtà e finzione. Se le cose stanno così, allora abbiamo di fronte a noi non un mondo di fenomeni – come vuole la filosofia negativa – ma un mondo di cose in sé, originato dal reale.

31 Allo stesso modo, il senso “si dà” e non è a nostra completa disposizione, proprio come le possibilità e le impossibilità del cacciavite. Il senso è il modo di organizzazione per il quale qualcosa si presenta in un dato modo. Ma non dipende in ultima analisi da soggetti, in quanto non è la produzione di un Io trascendentale con le sue categorie. È qualcosa come la sintesi passiva di Husserl, o come la “sinossi del senso” enigmaticamente menzionata da Kant nella prima edizione della Critica della Ragione Pura: il fatto che il mondo abbia un ordine prima della comparsa del soggetto. C’è qualcosa sullo sfondo che può diventare una figura. C’è sempre un avanzo non consumato, ha detto Schelling, c’è sempre un “resto irriducibile”.

32In breve, la mente emerge dal mondo (naturale e sociale) e in particolare dal pezzo di mondo che le è più vicino: il corpo e il cervello. Poi si confronta con l’ambiente sociale e naturale e con se stesso. In questo incontro-che è una ricostruzione e una rivelazione e non una costruzione-la mente elabora (individualmente, ma ancor più collettivamente) un’epistemologia, una conoscenza che assume come oggetto l’essere. L’incontro perfetto tra mente e corpo, così come quello tra ontologia ed epistemologia, non è concesso: gli errori sono sempre possibili. Ma quando la mente riesce a riconciliarsi con il mondo da cui proviene, allora abbiamo la verità.

  • 5 Nagel T., Mente e cosmo: Perché la concezione materialista neo-darwiniana della natura è quasi certa (…)

337. Ci si potrebbe chiedere come sia avvenuta la derivazione del pensiero dall’essere, e se facendo appello a questo si possa rischiare di recuperare la prospettiva fablelike e mysterysophic di Schelling. Eppure, non è il caso: Darwin è sufficiente. Tuttavia, si potrebbe obiettare che Nagel ha recentemente cercato di mettere in discussione il buon senso della nostra epoca proprio opponendosi a Darwin.5 La sua idea è che il dibattito tra i darwiniani e i sostenitori del “disegno intelligente” dell’universo non ha dimostrato la validità delle tesi di quest’ultimo, ma ha rivelato alcune debolezze nel primo. Pur professando di essere ateo, e quindi escludendo l’esistenza di una mente che ordina l’universo, Nagel afferma che l’ipotesi darwiniana non riesce a spiegare fenomeni come la coscienza, la conoscenza e i valori.

  • 6 Nagel T., ‘ Che cosa è come essere un pipistrello?”in The Philosophical Review LXXXIII, 4 (ottobre 1974), 435 (…)

34In effetti, che senso ha avere una coscienza che, come diceva Amleto, ci rende tutti codardi? E come possiamo spiegare l’emergere dell’intelligenza nella materia? Un difensore di Darwin come Daniel Dennett afferma che, proprio come il vivente è costituito da elementi inorganici a cui tornerà (e non troviamo nulla di miracoloso in questo), così l’intelligenza può benissimo derivare da elementi non intelligenti. Tuttavia, Nagel vede in questa concezione un pregiudizio riduzionista che sembra tanto più evidente quando la coscienza e l’intelligenza raggiungono livelli più astratti che sembrano escludere la necessità stessa di un’umanità capace di pensiero. Come scrisse nel 1974: “dopo tutto, ci sarebbero stati numeri transfiniti anche se tutti fossero stati spazzati via dalla Morte Nera prima che Cantor li scoprisse.”6 Ora, quale sarebbe il vantaggio evolutivo dei numeri transfiniti? Un neo-darwiniano come Stephen Jay Gloud avrebbe affermato che è un effetto collaterale di un sistema nervoso centrale più sviluppato (che è un vantaggio evolutivo di per sé). Nagel, invece, afferma che questo è uno dei tanti aspetti del mondo che il darwinismo non può spiegare.

35 Il vero obiettivo di Nagel, però, non è quello di criticare il darwinismo (anche se è facile immaginare che il suo libro sarà usato proprio a questo scopo), ma piuttosto, in positivo, di proporre un’idea giusta e ambiziosa di una scienza più vasta, quasi una conoscenza speculativa rinata à la German idealism. Il tratto fondamentale di questo ingrossamento della scienza consiste nel ricorrere non solo per le spiegazioni causali (A causa B), ma anche per le ultime spiegazioni, con quello che in gergo filosofico, è chiamato “teleologia”: Una causa B perché B ha scopo è stato C. Per esempio, l’uomo ha sviluppato una massa cerebrale superiore a quella degli altri primati, perché era parte di un progetto finalizzato, il cui fine era quello di produrre una coscienza, perché – come Dante, un grande sostenitore della teologia, messo – “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.

36Nagel si riferisce ad Aristotele nella sua affermazione, ma il suo vero predecessore è piuttosto Leibniz nel Discorso della metafisica (1686), critico dei “nouveaux philosophes” del suo tempo, che volevano bandire le cause finali dalla fisica. Secondo Leibniz, un fisico che ha voluto spiegare la natura solo attraverso l’efficienza cause sarebbero stati limitati non meno di uno storico che ha cercato di spiegare la conquista di una fortezza senza prendere in considerazione gli obiettivi generali che ha condotto la battaglia, semplicemente dicendo che le particelle di polvere nel cannone riuscito a spingere un disco solido corpo contro le pareti del luogo, in modo che si vide crollare giù.

37Ora, per quanto riguarda l’esigenza di una scienza teleologica, potremmo notare che la scienza naturale (e non solo la scienza sociale, dove il ricorso alle cause finali è sempre presente) è intrinsecamente teleologica, senza che la natura sia essa stessa teleologica. Kant, nella sua Critica del Giudizio, lo aveva visto molto chiaramente: quando osserviamo la natura attraverso la lente di uno scienziato, la consideriamo nel suo insieme e ne ipotizziamo i fini. L’epistemologia, cioè ciò che sappiamo o crediamo di sapere, è intrinsecamente teleologica: se ci mostrano la sezione di un occhio non riusciremo a capire molto fino a quando non ipotizziamo che l’occhio sia fatto per vedere; allora la funzione della pupilla, del cristallino e della retina diventerà chiara. Ma l’ontologia, ciò che esiste, non è necessariamente teleologica. È così nel mondo sociale, non nel mondo naturale a cui si riferisce Darwin.

38Saying that the purpose of the eye is to see helps us understand its functioning, just like saying that the objective of the two teams is to score allows us to understand a football match. Ma questo non ci costringe ad affermare che l’occhio è stato intrinsecamente creato per vedere più di quanto autorizzi a dire che il naso è stato creato per sostenere il peso degli occhiali. Potrebbe essere una possibilità evolutiva. In un tempo così lungo come quello che ci separa dal Big Bang e con un materiale così vasto come l’universo, tutto può accadere, compresi la coscienza e i numeri transfiniti. Questo è analogo alla biblioteca di Babele immaginata da Borges, che contiene tutto, incluso il giorno e l’ora esatta della nostra morte – solo, questa informazione (di incerta utilità evolutiva) è sepolta tra miliardi di altre ore e giorni probabili o improbabili, e miliardi di miliardi di libri senza senso.

  • 7 Vedi, per esempio, Bryant L., Snircek N., Haman G. (eds.), La svolta speculativa. Materie continentali (…)

398. A questo punto, tuttavia, la prospettiva e la possibilità di una scienza più vasta – che sembra essere richiesta da molti aspetti della filosofia contemporanea7 – è ancora del tutto aperta. Dopo le critiche al postmodernismo, è tempo di passare a una fase costruttiva. Questa ricostruzione non si basa solo sul recupero del realismo, ma anche su quello di tre elementi fortemente estranei sia alla filosofia analitica che a quella continentale del secolo scorso: filosofia speculativa, filosofia sistematica e filosofia positiva. Ecco cosa intendo per “ricostruzione della decostruzione”. È lontano da un restauro o da un ‘rappel à l’ordre’ (e quale ordine, dopo tutto?). Al contrario, è il tentativo di costruire una cornice teorica più ampia. È il ritorno del pensiero in grande: il progetto di una filosofia capace di rappresentare tutta la realtà, dalla fisica al mondo sociale, al di là delle specializzazioni novecentesche. Il vero problema è quindi il seguente: siamo in grado di conciliare una grande prospettiva speculativa (quella per cui l’epistemologia emerge dall’ontologia) con una prospettiva realistica e senza ricadere nei limiti dell’idealismo post-kantiano? Credo che questa dovrebbe essere la sfida per un realismo positivo, e vorrei concludere su questa nota con tre idee da cui partire.

40il primo riguarda la nozione di “speculativo”. Nella prospettiva che propongo, è associato al materialismo e al realismo, mentre era tradizionalmente legato allo spiritualismo e all’idealismo. La svolta spiritualista era tipica del neo-idealismo italiano e anglo-americano del Novecento, che, à la Descartes, partiva dallo spirito. Non c’è nulla di simile in Hegel, per il quale il concetto emerge dall’essere e lo spirito emerge dalla natura. Per Hegel, gli elementi logici non sono prodotti dall’Io (come postulato da Cartesio e Kant), ma emergono dalla natura, cioè dalle cose stesse. Naturalmente, Hegel è stato costretto a immaginare questa emergenza con gli strumenti che aveva a disposizione – come lo sviluppo del concetto e dello spirito-e anche con un riferimento a principi mitologici come l’anima del mondo. Grazie a Darwin, però, possiamo ora pensarla come lo sviluppo dell’epistemologia (intelligente) sulla base di un’ontologia non intelligente, in accordo con la proposta di Dennett. Non è necessario pensare a uno spirito o a una teleologia che determina il passaggio dalla natura allo spirito o, in altre parole, dall’ontologia all’epistemologia. Si può ben immaginare il contrario: l’organico è il risultato dell’inorganico, la coscienza emerge dagli elementi inconsci e l’epistemologia emerge dall’ontologia. Il senso è prodotto dal nonsense e le possibilità derivano dalla resistenza della realtà, senza che ciò porti al fatto che la filosofia dovrebbe essere ridotta a una visione frammentaria, rinunciando allo scopo di offrire il significato complessivo del reale.

  • 8 In particolare la Documentalità. Perché è necessario lasciare tracce, Fordham University Press, 2012.

41il secondo elemento riguarda la possibilità di una filosofia sistematica. Cosa organizza il sistema? Qual è il motore di esso? Nei sistemi idealistici tradizionali, l’organizzazione del sistema proveniva dallo spirito o dal concetto. Ma come abbiamo visto, grazie a Darwin, oggi disponiamo di spiegazioni più efficaci e meno vincolanti. A questo punto abbiamo tutto ciò che è necessario per un sistema completamente articolato. Il primo livello è quello di un’ontologia del mondo naturale, in cui si passa dall’inorganico all’organico e, infine, al cosciente. E questo non implica necessariamente alcun tipo di “disegno intelligente” (dopotutto, nemmeno gli idealisti classici lo supponevano). In questa fase, abbiamo la costituzione di un’ontologia che offre la premessa per un’epistemologia, cioè la conoscenza di ciò che c’è. Questa epistemologia si sviluppa attraverso la coscienza, il linguaggio, la scrittura, il mondo delle leggi, la politica, la scienza e la cultura. È a questo punto che diventa capace di due operazioni. Il primo è la ricostruzione del mondo naturale, che è l’oggetto delle scienze naturali. La seconda è la costruzione del mondo sociale, che è l’oggetto della scienza sociale e dove l’epistemologia riveste non solo un ricostruttiva ruolo ma costruttivo, in conformità con la legge “Oggetto = Inscritto Atto’ che ho illustrato nel mio lavoro, sul sociale ontology8 – che mi rimanda indietro la sistematica articolazione delle gerarchie di oggetti presenti nell’ontologia propongo (oggetti naturali, oggetti sociali e ideale per gli oggetti).

42UN ultimo punto sulla nozione di “realismo positivo”. In ultima analisi, la duplice articolazione che ho descritto sopra si presenta come l’inversione simmetrica della filosofia negativa cartesiana. Se la filosofia negativa si trattava di negare qualsiasi consistenza ontologica del mondo per ricondurre tutto al pensiero e alla conoscenza e quindi procedere a ricostituire il mondo per mezzo dell’epistemologia, con realismo positivo – recuperando la lezione dell’idealismo tedesco e collegandola all’evoluzionismo – è possibile partire dall’ontologia per fondare l’epistemologia. Che a sua volta, se rapportato al mondo sociale, può e deve diventare costitutivo (è ovvio che le leggi sono fatte dall’uomo, non dagli atomi), mentre non può esserlo nel mondo naturale, a differenza di quanto ipotizzato dal filone filosofico che da Cartesio ha portato al postmodernismo. Se si sviluppassero tutti i moti realisti che hanno iniziato a manifestarsi in diversi ambiti, credo che il nostro secolo avrebbe buone ragioni per essere soddisfatto: la filosofia non è morta e non si limita alla dimensione critica ma, sotto il nome di realismo, è riuscita a ripensare in grande.

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